The story of Miriam
Cystic fibrosis & CFRD, Celiac disease, Thalassemia Minor
Mi chiamo Miriam e tra pochi giorni compierò 20 anni. La mia storia con la fibrosi cistica nasce con me, nel marzo del 2001 quando, a pochi giorni di vita, tramite lo screening neonatale mi viene diagnosticata: è la malattia genetica più diffusa, circa 1/25 individui è portatore sano, e nascono all’incirca quattro bimbi a settimana affetti da FC. E’ causata dalla disfunzione dei canali che trasportano il cloro nell’organismo, questo causa la produzione di secrezioni molto dense, che danneggiano prevalentemente l’apparato respiratorio e quello gastrointestinale, e un’eccessiva perdita di sali nel sudore, che risulta essere particolarmente salato (per questo la chiamo “vita salata”). Al giorno d’oggi non esiste ancora una terapia in grado di farci guarire, anche se la ricerca scientifica è sempre più vicina al traguardo, tuttavia ne esistono moltissime in grado di curarci e tenerla a bada il più possibile. Terapie aerosoliche, fisioterapia respiratoria, ospedali, farmaci e macchinari di ogni tipo, entrano presto a far parte della mia vita, e sono miei compagni ormai da sempre. La fibrosi cistica fino ai miei 17 anni non si è fatta sentire, ma ad un certo punto è diventata come una bambina capricciosa a cui non bastavano nemmeno le cinque ore al giorno che le dedicavo per tenerla a bada, così l’ospedale è diventata la mia seconda casa. Giorni, settimane, mesi passati attaccata a flebo di antibiotici che combattevano per me e con me, chiusa in una stanza d’ospedale da cui guardavo le vite degli altri che correvano veloci e la mia ferma lì, in pausa, in stand-by.. quando gli aghi che mi bucavano le braccia sono diventati decisamente troppi e mettermi il port-a-cath (un elegante ago nel petto) è diventata l’unica soluzione, quando ho visto più sale operatorie che aule studio, quando scendere al bar a bere un ginseng era diventato un momento di festa e le passeggiate serali nel giardino sul mare la massima felicità; quando infermiere e medici sono diventati una famiglia, e i compagni di avventura gli amici del cuore, quando per essere felici, ho imparato, non servivano grandi cose, ma piccoli gesti come i dolcetti senza glutine regalati dall’infermiera del turno di notte o un panino mangiato in videochiamata con l’amica nella stanza accanto. La fibrosi cistica cresce con me: le pastiglie, le ore di terapia, i controlli ed i ricoveri, le complicazioni e i dispositivi alieni che mi ritrovo sotto pelle, grazie al diabete ed alle flebo sono aumentati, insomma: a differenza di quando ero una ragazzina, ora è una coinquilina che non paga l’affitto e che spesso e volentieri invade il mio spazio, ed io a fatica riesco a limitarla. Ma mi ha insegnato e mi sta insegnando tantissimo. Ho imparato ad utilizzare la mia esperienza con lei per aiutare gli altri, così sono diventata testimonial italiana della LIFC, associazione che da sempre si occupa di malati di FC, e di un progetto italiano che coinvolge noi giovani FC. Ho imparato a non considerarla un limite, ma un’opportunità. Infatti, è soprattutto grazie a lei se oggi studio quella che è diventata la mia più grande passione, e cioè la medicina sperimentale. Conciliare vita sociale, studi universitari e lunghe terapie quotidiane non è facile, ma la FC mi ha insegnato, da sempre, anche ad avere una grandissima organizzazione, infatti non è raro vedermi studiare mentre faccio un aerosol, o con una flebo attaccata. E quando le persone mi chiedono come io faccia, rispondo che è semplicemente la passione a spingermi a continuare a lottare. La forza di volontà, “volere è potere”, insomma, chiamiamolo come più ci piace.. è tutto. Se sono quello che sono, è soprattutto grazie alla fibrosi cistica, che considero essere il mio valore aggiunto più grande. Le tempeste arriveranno sempre, sta a noi decidere se correre ai ripari o affrontarle a testa alta, sotto la pioggia, come se ci fosse sempre il sole.